Sigari e noci
È giorno di lavoro per il ragionier
Forse, che deve visitare vari uffici, in una grande città.
Si
intravede e si riconosce subito, appena salita la scala che porta alla
metropolitana: un noce piuttosto alto sancisce l'inizio del viale. Sui suoi
rami sottili e leggermente contorti fanno belle mostra di sé
molte noci acerbe, verdi, piene e tondeggianti.
Lo
raggiunge il ragioniere, e si ferma per un momento ai suoi piedi; per terra si
trovano parecchi di quei frutti, alcuni ancora integri ma con grosse macchie
nere, altri mezzo maciullati dai piedi dei passanti.
Silvano Forse raccoglie da terra una
noce e ne annusa il profumo pungente, somigliante a quello di un agrume. Gli
viene in mente che l'anno scorso ne aveva aperta una con le dita: il liquido
scuro che ne fuoriuscì macchiò le sue mani
per giorni e giorni, non andava via. Sua moglie, quando lo vide, proruppe in
una sfuriata: "non sei più un
bambino!"; giunse per fino a sfregargli le mani lei stessa, con una
spazzola pregna di sapone.
Il ragioniere posa la noce (rifugge
dalla giocosa tentazione di infilarla in una tasca del cappotto) e si avvia
camminando un po' curvo, al centro del viale, con la sua valigetta di pelle
lucida, ma leggermente logora.
Scorge una tabaccheria, ne sente
l'odore. Sono ormai più di vent'anni che Forse non fuma più.
I sigari sottili e scuri che prima acquistava abitualmente probabilmente ora
non saranno neanche più in commercio.
A Silvano piaceva tenere in bocca il
sigaro spento e assaporare il sapore, l'odore. Odore di febbre. Così
gli era parso la prima volta che aveva annusato del tabacco, in casa di suo
nonno.
Aspirando il fumo del sigaro il
ragioniere provava un malessere leggero, ma diffuso. Pareva gonfiarsi il
torace, ingrandirsi il cuore; il sangue sembrava addensarsi, farsi bollente:
bussava alle sue tempie. Sentendosi male, si sentiva più
palpitante, più vivo.
Ma vent'anni fa, quarant'anni fa, era
-forse- un po' diverso.
Silvano Forse, quando camminava per
la città, percepiva nessi, connessioni,
rimandi. Ed ad ogni rimbalzo del suo sguardo, ogni piccola vertigine sonora nei
suoi orecchi lo confortava, lo trascinava, capiva.
Sentiva, forte rimbombare nei suoi
organi quello che i greci chiamavano logos,
discorso. Si parlava anche di
lui; si parlava soprattutto di lui!
Il sigaro, il tabacco, permetteva di
rintanarsi in un cantuccio, calmierare così quel
discorso tonante. Lo sfrigolio del fiammifero, il calore che scottava le punta
delle dita, il fumo negli occhi, il puzzo di cui si impregnavano i vestiti, smussavano
gli spigoli di quella realtà; la
addolcivano, la schermivano, e a volte lei si lasciava schermire, spesso
sorridendo, ironicamente.
Ma il fumo fa male. E Forse si trovò
nei guai.
Negli ultimi mesi, dopo l'operazione,
quando la decisione di smetterla con i sigari era perentoriamente presa (da lui
in prima persona), si ritrovo a consumare le ultime scatole che erano rimaste;
di nascosto, facendo in modo che sua moglie non se ne accorgesse.
In quei momenti al malessere generato
dalla nicotina si aggiungeva quello del senso di colpa; il gesto si caricava di
trasgressione, e la sensazione di soffocamento febbricitante aumentava.
Ultimamente sua moglie gli ripete
spesso: "tanto tu sembri proprio non capire", oppure, in tono
sprezzante: "tanto tu non capisci!". Ha perfettamente ragione:
Silvano Forse non capisce più, e
probabilmente non capiva neanche prima. Cammina per un lungo viale e non
percepisce più nessun logos. Non servirebbe a niente ricominciare a fumare.
Avanza sull'asfalto umido su cui le
molte foglie cadute vi sono appiccicate e stanno marcendo.
Cammina, sulla linea di un oblio che
infragilisce e imbratta ogni gioia, in una realtà cenciosa e
bastarda.
Un uomo a metà,
un ragioniere in Forse.